Troticoltura in Piemonte

Acquacoltura Italiana – Dal Territorio alla Tradizione Gastronomica

Canna da pesca in mano, laghetto o torrente di fronte e Alpi alle spalle. Questo è l’immaginario legato alla troticoltura piemontese. La regione, infatti, è un’eccellenza per quanto riguarda la produzione di trota in acquacoltura destinata alla pesca sportiva. Una pratica che dopo il primo lockdown ha ripreso vigore, grazie all’esigenza di esperienze in spazi aperti degli italiani, conciliando qualità, ricerca e sicurezza alimentare. E facendo la fortuna delle aziende che qui, nella stragrande maggioranza dei casi, si dedicano a questo canale di vendita. Un ritorno in auge che, tuttavia, non ha risolto tutti i problemi: l’aumento dei costi di produzione delle aziende (dovuto alla crescita dei prezzi delle materie prime e dei beni energetici) e una normativa di ripopolamento delle acque libere ancora poco chiara rischia di generare un effetto domino sulle aziende produttrici, ora impegnate in un percorso di transizione che in molti sperano coincida con un forte ritorno alla territorialità.

D’altronde, come dimostrano le storie delle aziende piemontesi che fanno parte di API Associazione piscicoltori italiani, abbandonare la vecchia strada per una nuova ancora tutta da scoprire rischia di essere un contraccolpo per l’intero sistema. Non solo a livello economico ma anche ambientale.

«La produzione naturale dei fiumi è molto bassa, soprattutto per la mancanza di acqua dovuta sia alle scarse precipitazioni degli ultimi anni sia all’utilizzo delle acque per scopi irrigui agricoli. I fiumi, insomma, sono molto poveri e la natura non tiene il passo della pesca. Senza ripopolamento, quindi, non sarebbe possibile mantenere certe attività e anche certa attrazione turistica», afferma Lucio Fariano, titolare di Canali Cavour, azienda della provincia di Cuneo giunta ormai alla terza generazione. A rendere più difficile la situazione, lo stop, negli ultimi due anni, alle attività di ripopolamento di fiumi e torrenti con trote iridee e fario. Il motivo? Una querelle sulla salvaguardia della trota marmorata, specie autoctona del Piemonte. «Di fatto questo ha messo in crisi la programmazione delle aziende – sottolinea Fariano – che hanno dovuto sospendere uno dei canali di vendita principali per riattivarlo quest’anno, a fronte di una deroga regionale di due anni che permette di reintrodurre in natura la trota iridea bianca. Non ibridandosi con le altre specie già presenti nei nostri corsi d’acqua, può favorire l’aumento della popolazione ittica e la salvaguardia delle specie autoctone».

Ma due anni di deroga non bastano per dormire sonni tranquilli. Per questo diventa essenziale il recupero del canale della pesca sportiva nei laghetti. A queste realtà le aziende della troticoltura piemontese forniscono tre tipologie di pesce: «La prima è quella che va dai 250 ai 300 grammi, la seconda dai 400 ai 600 grammi e poi quella di 7-8 chili – spiega Luca Monetto, co-titolare della Fratelli Monetto di Centallo (Cn) – A livello di quantità, la pezzatura più richiesta è la prima, mentre la terza non rappresenta che il 10% della fornitura totale. A dettare il trend sono, da un lato, le richieste dei clienti dei laghetti e, dall’altro, le pratiche di marketing dei gestori che utilizzano pesci più grandi come richiamo per i pescatori». Resta invariata la qualità: «Grazie a un processo di selezione delle uova, di allevamento in vasche a bassa intensità e di una qualità dell’acqua superiore, la carne del pesce che si pesca nei laghetti risulta soda, con un sapore e un gusto riconoscibili», afferma Monetto. Caratteristica che diventa fattore di marketing territoriale: «Molto spesso, all’atto della consegna delle trote ai vari circoli che gestiscono i laghetti è accompagnata una campagna di informazione sui social network. Nei vari messaggi viene messa in evidenza la provenienza della trota. Non tanto l’azienda produttrice, ma proprio il territorio di origine in cui ha sede l’allevamento. E questo, per il cliente finale, è un richiamo in più che fa leva sulla garanzia in fatto di sicurezza alimentare offerta dalle aziende della troticoltura piemontese».

Non sorprende, quindi, che a partire da queste garanzie ci siano aziende che hanno trasformato la trota in un prodotto più accessibile e funzionale legandolo ai sapori del territorio. È il caso del trota-burger dell’azienda Allevamento e Vendita Trote di Bovio Manuel: «L’idea è nata a partire dalle richieste dei clienti che, soprattutto per i bambini, ci chiedevano un prodotto più appetibile. Al solito filetto e al prodotto affumicato, quindi, abbiamo deciso di affiancare la vendita di questa referenza realizzata con il 100% di carne di trota iridea bianca a cui vengono aggiunte le verdure di stagione come spinaci, funghi, zucca, ecc. oltre a pane e latte ma senza l’utilizzo di uovo per creare l’impasto», racconta Sara Rej, che gestisce l’azienda insieme al marito, erede di un’attività avviata negli anni ’70. Si tratta di un prodotto artigianale venduto direttamente al cliente finale o ai gruppi di acquisto. Niente intermediari ma nemmeno eCommerce e delivery. «Nonostante lo sviluppo del commercio digitale e delle consegne a domicilio avvenuto nell’ultimo biennio, abbiamo deciso di non attivare questo tipo di canale per due motivi. Il primo è che non possiamo reggere, per il momento, una richiesta del tipo “tutto e subito” visto le nostre piccole dimensioni. Il secondo motivo è che così facendo vogliamo favorire un consumo sostenibile del pesce, senza scarti o sprechi, andando così incontro agli ultimi trend alimentari», aggiunge Rej. Il risultato? Un accento sulla territorialità che diventa sinonimo di sicurezza alimentare: «Oggigiorno, sapere da dove viene un pesce, chi lo ha prodotto e con quali criteri fa la differenza per il cliente che vede nelle aziende della troticoltura una garanzia di qualità e sicurezza», conclude Sara.

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