ATTUALITA’
20 settembre 2022
Il grande caldo di luglio sembra alle spalle. Con il ritorno dalle vacanze, gli italiani hanno potuto respirare aria più fresca. Ma questo non significa che l’emergenza siccità sia finita. Lo sanno bene gli imprenditori dell’acquacoltura italiana su cui si sta abbattendo una tempesta perfetta fatta di mancanza di risorse idriche e aumento dei costi energetici. Acquacoltura e siccità. Tanto che «anche l’attività di pompaggio d’acqua dal sottosuolo risulta una soluzione quasi non più praticabile vista la spesa in energia elettrica necessaria per far funzionare i macchinari», ammette Pier Domenico Stefanauto, proprietario della troticoltura “Le Gru” in provincia di Udine.
Nemmeno una regione ricca di fiumi come il Friuli-Venezia Giulia, naturalmente vocata all’acquacoltura e in particolare all’allevamento della trota, può quindi sostenere l’attuale situazione ambientale creatasi. Risultato? «Un’ingente diminuzione della produzione i cui effetti si proietteranno sul prossimo anno. Molte aziende, infatti, hanno deciso di non far nascere nuove trotelle, preferendo portare a una taglia superiore quelle già presenti nelle vasche. Questo provocherà, da un lato, un ammanco difficilmente rimpiazzabile nell’autunno del prossimo anno, quando in teoria avrebbe dovuto completarsi il ciclo di crescita delle nuove trote; dall’altro, un aumento di peso delle pezzature abituali per cercare di salvare il salvabile, mettendo comunque in conto una perdita di circa il 30% degli introiti», aggiunge Stefanuto. Tutto ciò nonostante lo scorrimento a valle del peso dell’aumento generalizzato dei prezzi.
In Piemonte, per esempio, secondo Lucio Fariano, titolare di Canali Cavour l’aumento del prezzo di vendita da parte dei produttori è salito del +30% ma, contemporaneamente, si è assistito anche a un calo di produzione che si avvicina al 40% e un generalizzato aumento dei costi fissi. Insomma, i conti non tornano. E tutto questo a causa della mancanza dell’acqua: «Il Piemonte, come tutto il Nord Italia; è in emergenza siccità dalla fine dello scorso anno. Nel frattempo, c’è stata qualche pioggia o temporale, ma niente che riuscisse a invertire la tendenza. Soprattutto a livello di temperature, elemento molto importante per la troticoltura», aggiunge Fariano. Di fatto, le aziende che utilizzano acqua di fiume nelle proprie vasche di allevamento hanno dovuto “accontentarsi” di acqua più calda della norma. Dettaglio che ha influito anche sulla resa delle produzioni. E anche per il 2023 le prospettive non sembrano migliori. «Finché perdura questa siccità, all’interno di un ciclo di produzione lungo quasi un anno, il rischio è che molti operatori non possano immettere nuovi pesci nelle vasche. Detto diversamente, il “magazzino” è pieno ma senza acqua non si può rinnovare», spiega Fariano. Non va meglio alle aziende che utilizzano acqua pompata dal sottosuolo, ormai essenzialmente «fuori mercato» per i costi energetici che sono costretti a sobbarcarsi.
Acquacoltura e siccità: la siccità, in sintesi, sembra aver accelerato le difficoltà del settore. «Possiamo dire che l’intera acquacoltura d’acqua dolce in Italia sta lavorando in perdita. Al Centro Italia le cose vanno un po’ meglio che al Nord, ma il trend è uguale per tutti», conferma Fariano. L’esigenza, quindi, è quella di tenere sotto controllo i conti economici. Come? Per esempio, vendendo il prodotto in fase di allevamento anche al costo di perderci a livello di taglia. Un’azione funzionale a liberare spazio nelle poche vasche in cui c’è acqua di qualità e non ritrovarsi con un buco di produzione nei prossimi mesi. «Oltre alla produzione, c’è un aspetto finanziario da tenere insieme; la siccità ha fatto esplodere il conto economico delle aziende: dai mangimi all’ossigeno passando per la logistica, tutte le materie prime e i servizi sono aumentati erodendo i margini di guadagno», conclude Fariano.
Fortunatamente, però, da un punto di vista sanitario la siccità non ha causato danni. Questo vale soprattutto per le produzioni a valle, come quelle legate alla molluschicoltura che si effettua in mare o laguna. «Durante i mesi estivi più caldi non abbiamo osservato particolari anomalie per quanto riguarda la presenza di batteri nelle nostre zone costiere. Di fatto, non essendoci state piogge, non c’è stato nemmeno il rischio di contaminazione. Certo, questo non vuole dire che le cose siano tutte rose e fiori. A cavallo di luglio e agosto, per esempio, abbiamo notato fioriture algali anomale che, però, non hanno impattato sulle produzioni. Sarà curioso vedere cosa succederà dopo le precipitazioni di metà settembre. Ma siamo ancora nel campo delle ipotesi e del calcolo delle probabilità per quanto riguarda eventuali contaminazioni da Escherichia coli o simili», spiega Giorgia Polli, coordinatrice Cti – Centro tecnico informativo per la sicurezza alimentare dei molluschi bivalvi del Friuli-Venezia Giulia.
Siccità, però, fa rima con aumento delle temperature. Un trend di lungo periodo che preoccupa ben di più gli esperti di acquacoltura. «Il problema di questa stagione non è stato tanto il picco di calore, che ha aggravato la situazione generata dalle mancate precipitazioni, quanto la continuità delle alte temperature. Acquacoltura e siccità: Con un mare a 30° per lungo tempo il rischio di proliferazione di batteri e organismi come le alghe e le meduse sale. Inoltre, riscontriamo una presenza sempre più massiccia di specie aliene che popolano le nostre coste e rischiano di far venire meno il naturale equilibrio in cui si inserisce l’allevamento di molluschi», conclude Polli.