L’Acquacoltura al Femminile

Acquacoltura Italiana – Dal Territorio alla Tradizione Gastronomica

Un’acquacoltura al femminile è possibile. A raccontarlo sono le storie di due imprenditrici che, in Veneto, hanno deciso di portare avanti l’attività di famiglia nel rispetto dell’ambiente e delle specie allevate, contribuendo a rinnovare attività indissolubilmente legate al territorio e, a volte, coprendo nicchie di mercato da leccarsi i baffi. Come il pesce gatto. «Nel 1986 mio padre convertì un ettaro di terra in un allevamento ittico. All’inizio voleva concentrarsi sull’anguilla, ma in mancanza di esperienza diretta nel settore e di capitali da investire decise di “farsi le ossa” con il pesce gatto. Una scelta lungimirante perché in poco tempo, complice l’arrivo del virus irido negli allevamenti emiliani, ci ritrovammo a essere uno dei pochi centri produttivi risparmiati», racconta Paola Berti la cui azienda ha sede nell’entroterra veneziano. Il motivo di tale fortuna? L’utilizzo di risorse idriche prelevate direttamente da alcune falde tramite dei pozzi.

Da quel momento in poi un’attività iniziata quasi per gioco si è trasformata in una solida realtà di nicchia. All’inizio degli anni Duemila, infatti, arrivò anche l’ampliamento della struttura e, nel 2003, l’entrata in azienda di Paola Berti che decise di dedicarsi all’acquacoltura iniziando anche un percorso accademico all’università di Udine. «Mi sono rimessa in gioco», confessa. Non senza difficoltà. Perché, alla fine, l’irido virus arrivò anche a queste latitudini, forse portato da pesci acquistati all’esterno per far fronte al picco di domanda. «Ci sono voluti circa quattro anni per ripartire. Nel frattempo, infatti, utilizzando delle vasche in terra abbiamo dovuto affrontare anche il proliferare delle alghe che toglievano ossigeno ai pesci. Provammo anche a sostituire il pesce gatto con il persico trota, anch’esso molto resistente. Ma alla fine siamo tornati sui nostri passi e ci siamo focalizzati su cosa sappiamo fare meglio, il pesce gatto, affiancato dall’introduzione di alcune carpe erbivore che tengono sotto controllo l’ambiente e ci evitano di utilizzare gli escavatori per la pulizia», afferma Berti.

Insomma, una storia di resilienza. Che trova i suoi estimatori anche nel piatto. Il pesce gatto, arrivato dagli Usa intorno al 1800, è un pesce di acqua dolce che ben si presta alla cucina locale. «Dal Mantovano alla bassa padovana, passando per l’Emilia il pesce gatto è un prodotto di nicchia molto ricercato dai gourmand. Sebbene siano ancora in molti a preferire il pesce di mare a quello di acqua dolce, per decenni se ne è fatto uso in cucina», conferma Berti. C’è chi lo fa fritto, intero, utilizzando una pezzatura sui 120-150 grammi. Oppure chi lo preferisce cotto in umido a tranci. O ancora come base per un brodo di pesce con cui realizzare un ottimo risotto. «Nella nostra azienda vendiamo il pesce gatto con una pezzatura che va dai 200 ai 400 grammi. La carne bianca e con pochissime lische si presta molto anche alla lavorazione o, in generale, alla sfilettatura», precisa Berti. I clienti? Grossisti e appassionati.

Più tradizionale, invece, la produzione dell’azienda guidata da Raffaella Colombara. A Crespadoro, in provincia di Vicenza nella valle del Chiampo, la protagonista è la trota iridea bianca o salmonata. «A dare il via all’attività fu mio padre, nel 1957. Lui costruì le prime vasche in terra e poi in cemento. Dagli anni ’60, dopo il matrimonio, con l’aiuto di mia madre iniziarono a ingrandirsi finché, circa 20 anni fa, io e mio fratello non rilevammo i due impianti attivi», racconta Colombara. Con il passare del tempo, e grazie al sostegno del marito “convertito” all’acquacoltura («prima lui era un metalmeccanico. Siamo state io e mia madre a insegnarli il lavoro»), oltre all’allevamento è stato aperto anche un piccolo laboratorio di lavorazione che serve per andare incontro alle piccole esigenze del cliente, sia esso un grossista oppure un privato. «La tendenza è sempre di più quella di avere un prodotto pronto a cuocere, che necessita di pochissime lavorazioni», afferma Colombara.

Oltre a questo servizio, la scelta dei clienti ricade sulla Troticoltura Colombara anche per la qualità della materia prima allevata: «Grazie all’acqua dei torrenti Cordiolo e Chiampo, che scendono a valle direttamente dal comprensorio dei Monti Lessini, possiamo garantire un habitat ideale per l’allevamento della trota. Dopo aver acquistato il novellame da alcuni fornitori, lo portiamo a una pezzatura di vendita di circa 6-7 etti. Un processo che richiede circa un anno e mezzo di attesa. Il risultato è un pesce molto resistente che viene utilizzato anche nella pesca sportiva», precisa Colombara. Chi lo compra per cuocerlo, invece, preferisce la griglia.

Per entrambe, essere una donna impegnata nell’acquacoltura non è una eccezione. «Certo, qui nel Veneziano non siamo molte. Ma nell’ambiente qualcuna si sta facendo largo. Per quanto mi riguarda, delle altre due compagne dell’università, una per esempio è rimasta all’interno dell’accademia per continuare il lavoro di ricerca in questo settore. In generale, comunque, il lavoro in acquacoltura, avendo dei ritmi stagionali, è molto flessibile e permette a una donna di percorrere anche altre strade professionali oppure conciliare maggiormente lavoro e vita privata», racconta Berti. «Anche qui nella valle la presenza femminile è una costante. Storicamente, come successo nella mia famiglia, a fianco a un uomo c’è sempre stata una donna. Certo, magari non svolgiamo i lavori più pesanti, ma diamo il nostro contributo. Nel mio caso, essendo un’azienda piccola, lascio volentieri i lavori manuali a mio marito per concentrarmi di più sugli aspetti commerciali e burocratici mentre in altre aziende, dove si fa ricorso anche a mezzi meccanici il lavoro sul campo può essere più distribuito», afferma Colombara. Per entrambe, però, quando c’è da rimboccarsi le maniche non c’è distinzione di genere che tenga

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