Di Alejandro Guelfo
15 dicembre 2022
L’allevamento di pesci è il metodo di produzione di proteine animali più sostenibile con l’impronta ambientale più bassa di tutti gli allevamenti.
Per semplificare la classificazione degli animali in un sistema di flusso di energia oppure di nutrienti sono stati definiti i “livelli trofici“. In altre parole, vengono posizionati nello stesso livello quegli animali che occupano un posto equivalente nella catena alimentare. Anche se i livelli trofici vengono utilizzati per capire il funzionamento e ruolo di ciascun organismo in un ecosistema, all’interno di questo schema, i pesci di allevamento come il salmone, la trota, l’orata o la spigola hanno smesso da decenni di essere strettamente carnivori.
Per questo motivo non si capisce perché, ancora oggi, si continui a parlare di livelli trofici quando si parla di allevamento degli animali. Nelle scuole ci hanno insegnato che le vacche mangiano l’erba, ma sapevate che si nutrono principalmente di cereali, legumi e supplementi di melassa e altri sottoprodotti di origine agricola?
Ebbene, con pesci come il branzino o l’orata succede esattamente il contrario. Buona parte della dieta di questi pesci, considerati carnivori, è a base di proteine ed oli vegetali. È vero che molto, molto tempo fa, i pesci di allevamento venivano nutriti quasi solamente con farina di pesce e olio di pesce di origine selvatica; ora non è più così!
Oggi, la farina di pesce e l’olio di pesce, che continuano ad essere presente negli alimenti per i pesci in quantità inferiori rispetto ad altre materie prime, solo in parte di origine selvatica, che ormai provengono da una produzione circolare.
Nel settore dei pesci di allevamento la composizione dei mangimi cambia costantemente, allontanandosi sempre più dai componenti selvatici.
Attualmente, tre quarti delle materie prime utilizzate negli alimenti di queste specie sono realizzate con materie prime vegetali, da fonti rinnovabili e circolari. Gli ingredienti provengono dal riutilizzo di co-prodotti di altre industrie agroalimentari; e altri sono nuovi, come ad esempio, le proteine unicellulari o oli da microalghe.
La tendenza a ridurre l’uso delle materie provenienti dagli stock selvatici crescerà nei prossimi anni ed è probabile che, con gli ultimi progressi tecnologici, l’uso delle fonti selvatiche si azzeri nel prossimo futuro. Ci sono già alcune realtà produttive di allevamento di pesce come salmoni e trote, che non usano materie provenienti dagli stock ittici naturali.
Nonostante i dati parlino da soli, si continua a ignorare ancora questa realtà inquadrando i pesci di allevamento quali carnivori all’interno della catena alimentare; è preoccupante trovare ad esempio in alcuni studi sulle impronta ambientale che l’orata o il branzino di acquacoltura vengano messi allo stesso livello di quelli pescati.
Le parole che usiamo sono molto importanti, spesso in maniera maggiore di quanto riusciamo a percepire. La parola può essere fonte di ispirazione per molti, serve a educare, è uno strumento potente per cambiare il mondo e generare un vero cambiamento nella nostra società.
La piscicoltura come attività di allevamento è chiamata a guidare l’azione per il clima nel 2050, momento in cui si prevede che raggiungeremo in Europa la neutralità climatica, inoltre, oggi rappresenta la modalità di produzione più sostenibile di tutti gli allevamenti in termini di consumo di acqua e altre risorse perché i pesci di allevamento sono ottimi convertitori dell’alimento.
Forse bisogna dimenticare i livelli trofici come misura della sostenibilità e concentrarsi sull’efficienza di utilizzo dell’alimento e delle risorse disponibili. Se vogliamo cambiare il mondo, bisogna aggiornare le nostre conoscenze.
Foto Copertina @ISPRA