Allevamento, Trasformazione, Gestione: Largo ai Giovani in Troticoltura

Acquacoltura Giovane

Per qualcuno lavorare in acquacoltura ha rappresentato il coronamento di un sogno d’infanzia. Per altri, il trampolino verso nuove specializzazioni. Infine, c’è chi questo impiego lo vive con l’orgoglio di far parte dell’impresa di famiglia, dove non si è solo un numero ma si condividono gioie e difficoltà. Sono i giovani impegnati nell’allevamento ittico, rappresentanti di un settore che sta vivendo un vero e proprio passaggio generazionale senza traumi e, anzi, trova nelle nuove leve quella spinta per interpretare al meglio le condizioni d’impresa e di mercato attuali. Da una maggiore sensibilità verso la sostenibilità all’attenzione per il benessere animale, dalla ricerca sui nuovi trend alimentari alla digitalizzazione della burocrazia necessaria a far marciare le imprese, i giovani in troticoltura, i professionisti del settore sono impegnati a 360° e svolgono quella funzione di passepartout attraverso cui accedere all’innovazione quanto mai necessaria al giorno d’oggi. Soprattutto in un momento in cui, come nel caso della troticoltura, la domanda per un prodotto sano, italiano e gustoso si fa sempre più viva da parte degli acquirenti.

«I trend che, lato clienti, caratterizzano maggiormente il nostro lavoro sono essenzialmente tre: la praticità di utilizzo del prodotto trasformato, dai filetti affumicati alle uova di trota, dal pronto da cucinare a quello pronto a mangiare; l’aspetto nutrizionale, con etichette chiare, trasparenti, sintetiche e in cui sempre più si evidenzia la dicitura free-from; infine, la sostenibilità, dalle fasi produttive al packaging e fino all’ultimo miglio per arrivare al cliente finale», afferma Angelo Pighin, 31 anni, terza generazione alla guida dell’azienda di famiglia a Villanova di San Daniele del Friuli specializzata nei processi di trasformazione (essenzialmente, affumicatura e cottura al vapore). Dopo la laurea triennale in ingegneria industriale, Pighin è entrato in azienda confermando, dopo due anni, l’interesse per un settore «stimolante, al passo con i tempi, stabile ma con buona dose di innovazione». Tanto da rinnovare una passione per lo studio che ha portato Pighin a intraprendere la laurea specialistica in ingegneria alimentare così da approfondire ulteriormente quanto appreso sul campo con «un po’ di fatica. Perché questo rimane comunque un lavoro fisico, in cui però crei qualcosa con le tue mani e le soddisfazioni ripagano gli sforzi».

Dello stesso avviso anche Davide Vidotti, 27 anni, che dopo il diploma al liceo scientifico ha seguito una passione nata in lui fin da bambino, quando si divertiva a passare per le vasche con un secchio di mangime in mano con cui dar da mangiare ai pesci: «Non è lavoro semplice,  molte sono le ore dedicate al lavoro e spesso si devono fare i conti con diverse incognite, dai fattori climatici agli uccelli rapaci, senza dimenticare che parliamo sempre di un animale vivo, la trota, la cui vita continua anche se fuori nevica». Vidotti rappresenta la terza generazione alla guida di un’azienda nata negli Anni 60 a Sutrio, alle pendici del monte Zoncolan. Una piccola azienda con una produzione annua di circa 100-200 quintali che rappresenta un piccolo paradiso naturale: «Noi utilizziamo acqua di risorgiva, purissima, con la temperatura che si mantiene in un range di 8-12 C°, ideale per allevare le trote iridee, quelle salmonate e il salmerino alpino. Il rispetto dell’ambiente e dell’habitat naturale dei pesci è una condizione imprescindibile per la corretta crescita degli stessi e per ottenere un’ottima qualità delle carni», spiega Vidotti.

Per entrambi, il passaggio generazionale non ha rappresentato un trauma. Piuttosto, un’occasione per mettersi in gioco. «L’acquacoltura italiana ha molte carte da giocare. Ci sono pratiche sostenibili intrinseche nella cultura dell’allevatore in sé che possono essere rinnovate dalle nuove generazioni. Un trend generale che riguarda diversi settori, ma di cui i giovani hanno maggiore coscienza, anche nelle scelte di consumo che, a loro volta, guidano le scelte produttive», spiega Pighin, la cui azienda produce solamente trota iridea e, attualmente, sta procedendo a opere di ristrutturazione dello stabilimento per tornare alle produttività degli 800-1.000 quintali originali grazie a un impianto più moderno e allo stesso tempo sostenibile e integrato nell’ambiente circostante. «La nostra è una piccola azienda – confessa Vidotti – e forse proprio per questo ho avuto maggiori possibilità di sperimentare, di imparare sul campo quale fosse il giusto equilibrio per l’alimentazione dei pesci, per esempio. A volte anche discostandomi da quanto fatto precedentemente e basandomi sull’esperienza maturata giorno dopo giorno».

Un approccio che vale anche in ambito amministrativo. «Dopo gli studi in un istituto tecnico sono entrata a far parte dell’azienda di famiglia, attiva dal 1983. All’inizio ho avuto la fortuna di imparare da chi ricopriva il mio stesso ruolo prima di me. Ma poi c’è il confronto quotidiano  con una burocrazia complessa, in cui il passaggio al digitale, paradossalmente, rende ogni cosa più complicata. Forse è qui che si potrebbe fare di più: ad oggi manca un vero e proprio piano formativo ad hoc per gestire un’azienda che si occupa di allevamento ittico», racconta Giulia Campion, seconda generazione dell’azienda di famiglia fondata dal padre a Cervignano del Friuli nel 1983. Oltre a lei, sono impegnati in azienda anche i due fratelli maggiori e il papà «che ripete spesso quanto vorrebbe andare in pensione. Per noi, lui è ancora una figura di riferimento. Ma son sicura che nel momento in cui volesse ritirarsi avremmo tutti gli strumenti per portare avanti la tradizione di famiglia». E magari aggiungere qualcosa in più: «A livello gestionale, abbiamo da poco introdotto la tracciabilità delle nostre trote. Se questo, da un lato, garantisce ai nostri clienti un livello di qualità superiore, dall’altro rappresenta anche un ulteriore impegno a livello di informatizzazione. Soprattutto una buona dose di pazienza per interfacciarsi con sistemi che, per quanto evoluti e digitalizzati, risultano ancora un po’ farraginosi e potrebbero frustrare chi, come le generazioni precedenti, non è avvezzo a smartphone e pc».

Ad accomunare queste tre storie dei giovani in troticoltura, oltre all’orgoglio di portare avanti una tradizione di famiglia, c’è la consapevolezza che, una volta entrati nel mondo dell’acquacoltura, nonostante gli sforzi, sia difficile tornare indietro. Lo spiega bene Pighin: «Il legame con il territorio è un aspetto che difficilmente si può ottenere in altri settori. Non solo perché l’acquacoltura è un’attività che si svolge in ambienti naturali, con animali vivi e seguendo il ritmo delle stagioni e il ciclo di vita delle trote. C’è anche un forte legame con la comunità in cui la nostra attività è insediata. Personalmente, ho chiara la percezione di portare un valore aggiunto alla filiera produttiva del mio territorio». E i riscontri non mancano: «A livello commerciale, abbiamo un ventaglio di clienti molto variegato: dal signore anziano che viene a comprare il pesce direttamente qui in azienda, al ristoratore o alle insegne della grande distribuzione. Per loro vedere che dall’altra parte c’è una figura giovane è quasi una garanzia di qualità, di rispetto per la tradizione», afferma Vidotti. Tanto che, aggiunge Campion, «quando penso a possibilità di carriera al di fuori dell’azienda di famiglia, mi rendo conto che la soddisfazione che provo qui, il fatto di non sentirsi solo un numero ma essere d’aiuto, mi fa sentire maggiormente valorizzata».

Foto Copertina @Angelo Pighin

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