Acquacoltura Giovane
«L’anguilla è un animale misterioso». Parola di dottoranda. Laura Gentile, 26 anni, che all’Università di Bologna sta portando avanti un progetto sull’acquacoltura come metodo per la conservazione della specie. Una ricerca dai diretti risvolti pratici, dal momento che il successo in termini di riproduzione e svezzamento rappresentano un passo ulteriore nel percorso della sostenibilità ambientale ed economica. Ad oggi, infatti, l’allevamento è l’unico modo per garantire la sopravvivenza di una specie il cui stock ittico è calato del 97% dal 1980 ad oggi. Innanzitutto, riducendo ulteriormente l’impatto sulla popolazione selvatica. In secondo luogo, interrompere il mercato nero di larve di anguilla verso l’Asia (con valori che si aggirano intorno ai 700 euro al kg). Infine, ridare slancio a una tradizione produttiva che rappresenta anche la cultura di alcuni luoghi, come Comacchio e la Laguna Veneta. Ma quali sono i colli di bottiglia da superare per arrivare a questi traguardi?
«Essenzialmente sono due. Il primo è la riproduzione, a cui ormai si è trovato una soluzione, grazie al contributo della ricerca italiana. Attenzione condivisa anche con altri Paesi, come la Danimarca. La soluzione è quella di utilizzare estratti ipofisari di carpa o salmone per indurre e completare la maturazione gonadica dell’anguilla. Un processo di 14/15 settimane che avviene in determinate condizioni di salute, temperatura e gestione con i riproduttori tenuti in vasche separate e stimolati con ormoni differenti per sesso, e alla fine del quale avviene la fecondazione», spiega Gentile, laurea magistrale in Biologia Marina seguita da un percorso di specializzazione con il prof. Oliviero Mordenti, da sempre appassionata di anguilla. Anche a livello gastronomico: «Questa specie mi ha sempre appassionata. Non solo per il suo ciclo di vita, con grandi migrazioni dal Mar dei Sargassi, ma anche per cultura che l’attornia. Da partenopea non posso dimenticare le cene di Natale a base di anguilla», aggiunge.
La seconda sfida, su cui ora si concentra lo studio di Gentile, dal titolo “Salvaguardia di Anguilla anguilla, specie a rischio di estinzione: ruolo dell’acquacoltura nel superamento dei principali colli di bottiglia”, è quello dello svezzamento delle forme larvali di anguilla e, di conseguenza, della loro sopravvivenza. Un tema all’ordine del giorno per gli allevatori, dal momento che la mortalità delle larve a 20-40 giorni è ancora molto alta e che il ciclo vitale, quindi, non è ancora chiuso. Per ridurla, il segreto passa dalla giusta dieta: «Non ce n’è ancora una corretta. Le larve di questa specie hanno una formazione complicata, esofago lungo, stomaco non ben formato. Trovare l’alimento giusto è la chiave. Se pensiamo all’ambiente naturale, i pochi dati che abbiamo riguardano una varietà di organismi plantonici. Per riprodurlo in cattività, il mix più promettente è formato da tuorlo di squalo e pasta di rotiferi, un mix ricco in lipidi e proteine che riesce a farci arrivare a 40 giorni post schiusa», sottolinea Gentile. Per andare ancora oltre, il tentativo è quello di testare altre matrici proteiche come il krill o i derivati del calamaro. «Ma anche le condizioni ambientali non vanno sottovalutate. Proverò a testare diverse salinità, temperature, ecc per trovare la combinazione giusta», specifica Gentile.
Parte del lavoro è rappresentato dal recupero dei riproduttori in valle, in autunno, così da portarli nella serra ittologica dove inizia l’induzione ormonale. Un passaggio che ha permesso a Gentile di entrare in contatto con gli imprenditori e gli operatori dell’acquacoltura. «Tutti i vallicoltori con cui interagisco sono imprenditori molto aperti alla scienza. Capiscono il risvolto pratico della ricerca e per questo ci supportano. Lo stesso a livello industriale. D’altronde, basta chiedere loro per capire che questo è il futuro delle risorse ittiche», racconta Gentile. La seconda fase del lavoro, invece, avviene in laboratorio: analisi istologiche, enzimatiche e altri test vengono effettuati per capire se la larva sta crescendo o meno e come lo sta facendo. Importante, infine, è il tema dell’intensità dell’allevamento: “Nell’acquacoltura dobbiamo evitare gli errori commessi nell’allevamento delle specie terrestri per quanto riguarda metodologie e spazi dedicati. Il principio è lo stesso: più l’animale vive in un ambiente favorevole e controllato, soprattutto dal punto di vista sanitario, più si ottiene un prodotto migliore, di maggiore qualità”. Parola di ricercatrice.
Foto Copertina @Laura Gentile