Acquacoltura Giovane
«L’acquacoltura ha la necessità di pensarsi in un’ottica agroindustriale e fare quell’ultimo salto di qualità che ancora le manca per diventare una filiera competitiva sia a livello nazionale che internazionale e non farsi relegare nella seconda fila dell’approvvigionamento alimentare». A dirlo è Claudio Pedroni, presidente di Agroittica Toscana, una delle realtà italiane più importanti quando si parla di allevamento di spigole e orate in mare aperto attiva da ormai 20 anni. A lui tocca la responsabilità di traghettare l’azienda verso un nuovo capitolo della sua storia che, va da sé, passa attraverso anche un ricambio generazionale a più livelli; dai vertici aziendali agli operatori in mare e agli addetti dello stabilimento di confezionamento e spedizione. Sintetizzando: «C’è bisogno di nuove leve con valori moderni», afferma Pedroni.
Anche perché, nel frattempo, l’azienda non smette di investire: 8 milioni di euro per un impianto di lavorazione a Piombino, «un polo Acquacoltura 4.0 a 200 metri dalle banchine del porto», precisa Pedroni. Progetto necessario per tenere il passo della domanda e dare la giusta vetrina a una produzione che, a mare, a quattro miglia dalla costa, può contare su un areale di 2 kmq per un totale di 48 recinti off-shore a cui si somma lo storico impianto a terra di 138 mila mq. «Siamo una realtà dinamica e in espansione: da qui al 2027 puntiamo a raggiungere i 35 milioni di euro di fatturato e allargare il nostro network di collaborazioni che già oggi può contare su 10 insegne della distribuzione, diversi mercati ittici cittadini e pure qualche cliente estero. Di recente, per esempio, abbiamo aperto un canale di commercializzazione con gli USA che rappresenta una nuova frontiera per il nostro pesce di qualità», afferma il manager. L’obiettivo è duplice: farsi riconoscere sul mercato (dove l’80% del pesce consumato proviene dall’estero) e sfruttare appieno, e in modo sostenibile, le potenzialità insite nel mare italiano (su 8mila km di coste, ci sono solo 21 concessioni attive).
Naturale, allora, che gli 84 dipendenti totali (fra fissi e stagionali) non bastino più, o forse meglio, si aprono spazi di crescita professionale che attendono di essere riempiti. «Non a caso – sottolinea Pedroni – il nostro è uno dei settori con il tasso di crescita più alti al mondo e va supportato garantendo le giuste opportunità di sviluppo, non solo a livello di business ma anche da un punto di vista socio-occupazionale». Per questo, in collaborazione con l’Università di Parma, Agroittica Toscana ha dato vita a un master di Management in Acquacoltura dedicato a 25 studenti che avranno la possibilità di approfondire, sul campo, le dinamiche di un settore complesso ma essenziale per il futuro della filiera alimentare. Questo perché se «l’acquacoltura è un’attività zootecnica, la gestione delle aziende tocca ai manager che operano al suo interno», conclude Pedroni.
Oltre al “cervello”, però, l’azienda non può trascurare le “braccia” e i “polmoni” che servono per portare avanti l’attività. Per questo, per esempio, ha dato il via negli ultimi due anni a un percorso di certificazione dei propri sub come operatori subacquei off-shore per l’acquacoltura. Una decisione apprezzata anche dagli stessi addetti: «Lavoro qui da tre anni, sufficienti per testimoniare l’impegno dell’azienda nella formazione del personale. Diversamente da altre realtà, infatti, Agroittica Toscana ha deciso di dare impulso al riconoscimento di una professione che, per la sua particolarità, non può accontentarsi del contratto di lavoro agricolo», racconta Jacopo Anchisi, 27 anni, manutentore subacqueo con una passata esperienza in un impianto a terra in Australia dedicato all’allevamento di gamberi. Rientrato in Italia a inizio 2020, Anchisi ha dovuto restarvi causa Covid. Un ostacolo trasformato in opportunità: unire le competenze con la sua passione, le immersioni. «A 13 anni, in vacanza, scoprii la passione per il mare e quello che sta sotto la sua superficie. Da allora l’ho sempre coltivata fino all’entrata in Agroittica Toscana che mi ha permesso di renderla una professione con tanto di specializzazione», aggiunge Anchisi. Certo, molto ancora c’è da fare verso un pieno riconoscimento di tale specificità (per esempio, il riconoscimento dell’attività subacquea come lavoro usurante ma i margini di crescita non mancano e pure le soddisfazioni: «Sebbene non sia un lavoro per tutti, molto fisico, in cui ti trovi ad affrontare le condizioni metereologiche più diverse, lo consiglio a chi ha la passione per il mare. I margini di crescita, anche tecnologici, sono evidenti – conclude Anchisi – è chiaro l’impatto che il nostro lavoro produce sulla diffusione di una maggiore sostenibilità: produrre e consumare pesce allevato contribuisce ad ottimizzare l’uso delle risorse naturali. Tema questo verso cui le giovani generazioni sono sempre più interessate a manifestare la propria opinione; non solo come consumatori».
Anche sulla terraferma, le opportunità per i giovani non mancano, come dimostra la storia di Linda La Porta, 31enne impiegata nel polo di confezionamento e spedizione: «Prima di arrivare qui, lavoravo in un’azienda di pulizie. Per caso ho scoperto un corso di formazione per diventare operatore del mare e delle acque interne che mi ha aperto le porte di Agroittica Toscana. Ho così scoperto una realtà solida, attenta all’ambiente, non solo quello esterno ma anche quello di lavoro». Dall’attenzione alla sicurezza al rispetto degli orari di lavoro, dall’organizzazione dei turni alla costante introduzione di innovazioni di processo, gli elementi che spezzano la routine ed evitano di cadere nella monotonia della propria mansione sono una costante – «non ci si annoia», conferma La Porta. Tanto che per raccontarlo a chi lo guarda da fuori, molto spesso magari, è meglio un video che una spiegazione: «Il lavoro in stabilimento non è un semplice “riempire le cassette” di pesce. Per affrontare la complessità del mercato di riferimento e sostenere le ambizioni della società, anche le operazioni devono tenere il passo», aggiunge la giovane operatrice. Soprattutto perché c’è da vincere una serie di pregiudizi che ancora circolano sull’acquacoltura. E chi meglio di un lavoratore del settore può farlo? «D’altronde, vedere con i propri occhi il funzionamento della filiera farebbe ricredere molti sulla necessità di potenziare l’acquacoltura come strumento per garantire una sicurezza alimentare e un’equità socio-lavorativa che ad oggi ancora manca nel nostro Paese», conclude La Porta.
Foto Copertina @API