Acquacoltura Italiana – Dal Territorio alla Tradizione Gastronomica
L’acqua fa la differenza. Soprattutto quando si parla di allevamento ittico. Un chiaro esempio arriva dal Friuli-Venezia Giulia, una delle regioni d’Italia più vocate all’acquacoltura grazie alle risorse idriche che dalle Alpi scendono a valle dando origine al fenomeno delle risorgive, delle sorgenti naturali che costituiscono la “casa” di trote e salmerini per un totale di circa 10mila tonnellate prodotte l’anno. Volumi generati da un manipolo di aziende capaci di coprire circa un terzo della produzione nazionale di trota iridea e innovare la trasformazione di un alimento sempre più richiesto dai clienti alla ricerca di un’alternativa Made in Italy al pesce d’acqua dolce di importazione. «Siamo molto fieri della qualità dei nostri prodotti – ammette Pier Domenico Stefanuto, Presidente dell’Organizzazione Produttori O.P.A.I.F che opera sul territorio friulano – Al di là di avere la fortuna di lavorare in una situazione naturale molto favorevole per la qualità delle acque, possiamo garantire un prodotto buono e sano attraverso una diffusa attenzione alla materia prima, una costante innovazione in termini di trasformazione e una ricerca di modelli di allevamento in linea con le esigenze del mercato: basse intensità, cura del benessere animale, ottimi livelli di ossigenazione e maniacale attenzione all’alimentazione. Ora non rimane che conquistare i consumatori».
D’altronde, con il forte mutamento delle abitudini di consumo, la territorialità espressa dalle aziende del Friuli-Venezia Giulia è riuscita a farsi largo innanzitutto nella grande distribuzione organizzata, che assorbe la maggioranza delle produzioni. Ma anche sui banchi dei negozi specializzati e all’interno delle cucine dei ristoranti. «Possiamo dire di aver raggiunto un punto di equilibrio – continua Stefanuto – grazie a un network di aziende che negli anni è stata capace di sfruttare al meglio il monopolio naturale nell’allevamento della trota». Tanto da spingere le referenze della regione anche fuori dai confini nazionali, direzione Germania, Austria e Polonia. Qui come in Italia, la taglia commerciale può variare dai 400 grammi per la trota da porzione ai 600 grammi-1 chilo per realizzare i filetti, fino ai 2-3 chili per il processo di affumicatura. Taglie che richiedono cicli di lavorazione che vanno dai 12 ai 36 mesi e una programmazione che, ora, rischia di risentire dell’attuale contesto economico, meteorologico e politico: «I rincari dell’energia e delle materie prime sono una grande difficoltà per le aziende ittiche. Se si aggiunge anche che la carenza d’acqua di quest’ultimo periodo, che non permette di alimentare correttamente i pesci nelle vasche in cui vengono allevate trote e salmerini e ci costringe a pompare dal sottosuolo più acqua, e quindi consumare maggiore energia, il quadro è abbastanza drammatico», conclude Stefanuto.
Per resistere a questa tempesta perfetta, la soluzione è quella di assecondare la natura e, di conseguenza, spingere ulteriormente sulla qualità eccellente del prodotto. Ne è convinto Giuliano Vidotti, proprietario dell’azienda La Trute: «Grazie a un’acqua di sorgente pura e potabile, con una temperatura costante di 8-11,5°C tutto l’anno e una portata di 300 litri al secondo riusciamo ad alimentare circa tremila mq di vasche situate su quello che una volta era un paleolago». Proprio qui, a inizio anni ’50, fu fondata l’azienda che tutt’ora sfrutta l’acqua di risorgiva del torrente But, che nasce a Timau (Alpi Carniche) e si immette nel Tagliamento. La specialità? Ovviamente la trota (che può raggiungere la taglia di 6 chili nel caso della salmonata) e salmerino: «Puntiamo a produrre delle referenze di grossa taglia così da sfruttarle per la lavorazione in loco che può fregiarsi di un bollo di certificazione di qualità regionale riconosciuto sia dai dettaglianti che dagli operatori dell’Horeca», spiega Vidotti. Nel portfolio sono presenti: filetti da 400 grammi, hamburger con una shelf-life di 4-5 giorni, affumicati a freddo e a caldo (utilizzando, in questo caso, la trota intera che viene successivamente diliscata a mano e confezionata sottovuoto). «Tanto lavoro, ma i consumatori apprezzano», ammette Vidotti. La prova provata arriva direttamente dalla Trattoria Alle Trote, agriturismo di famiglia in cui il piatto principe è proprio la trota: «Per noi è un osservatorio privilegiato sugli ultimi trend di consumo. Sebbene il prodotto porzionato sia sempre più richiesto, personalmente continuo a preferire la trotta intera da 300-400 grammi: si tratta della cottura migliore perché mantiene tutte le caratteristiche organolettiche del pesce. Ma capisco che, anche in un’ottica di rapporto costi-benefici, filetti oppure affumicati da 90-100 grammi risultino più funzionali in cucina», conclude Vidotti.
E a proposito di affumicatura, in Friuli-Venezia Giulia il must è la Regina di San Daniele prodotta dall’azienda Friultrota: «Si tratta di una trota iridea affumicata a freddo sotto i 30° con legno di faggio ed erbe aromatiche, salata e spinata a mano. La particolarità di questo trattamento fa si che, al palato, il consumatore riesca a individuare quello che noi chiamiamo “un sospetto di fumo”. Detto diversamente: un’affumicatura che c’è ma non copre il sapore della materia prima», spiega il titolare Mauro Pighin. Una produzione di nicchia dall’alto valore aggiunto; sia in termini economici che nutrizionali. «Nel 2010 abbiamo realizzato una ricerca in collaborazione con altri allevatori friulani per misurare i benefici di un’alimentazione a base pesce d’acqua dolce. Il risultato ha dimostrato che, senza consumare integratori ma introducendo nella propria dieta pasti a base di trota, ricchi fra le altre cose di Omega 3, nel giro di sei mesi il nostro organismo ne beneficia. Certo, l’importante è consumare un prodotto di qualità, una materia prima trattata con rispetto», afferma Pighin.
Dal punto di vista economico, invece, una produzione di alta qualità come quella della Regina di San Daniele riesce anche a resistere alle tensioni che contraddistinguono il mercato dei generi alimentari, fra inflazione, erosione del potere di acquisto e aumenti dei costi produttivi. Un risultato raggiunto con il tempo e sfidando anche alcuni preconcetti duri a morire: «L’attività di acquacoltura è iniziata negli anni ’70 quasi per scherzo. L’azienda di mio padre era attiva nel settore delle escavazioni della ghiaia i cui siti produttivi erano solitamente localizzati all’interno degli alvei dei fiumi. Qui, naturalmente, si crearono dei laghetti che inizialmente furono utilizzati per uso personale come riserve di pesca. In 5-6 anni gli avannotti immessi si trasformarono in trote da 6-8 chili e la domanda sorse spontanea: che ne facciamo? Negli anni ‘80 abbiamo quindi iniziato l’attività di trasformazione. Ma allora il mercato dei pesci d’acqua dolce era dominato dal salmone di importazione. Da buoni friulani abbiamo tenuto duro e, grazie al supporto dei ristoratori, abbiamo trovato il nostro posto sul mercato», racconta Pighin.
E dopo la Regina di San Daniele sono arrivate altre lavorazioni (per un totale di circa 150 tonnellate di trote lavorate all’anno): l’affumicato a caldo, filetti da porzione, cotture al vapore con varie spezi ed erbe aromatiche, agrumi o pomodoro. Ma anche uova di trota, bottarga, sughi, condimenti vari. E pure una linea biologica avviata nel 1995, in anticipo sui tempi. «Sono tutti prodotti pronti da mangiare, senza conservanti e coloranti, caratterizzati da una lavorazione artigianale che ne aumenta il valore economico e ne preserva la qualità», conclude Pighin.